Teoria del funzionamento di un terminale da carpfishing

Parlando in maniera generica si può dire che un terminale da carpfishing funziona in maniera ottimale quando sono soddisfatti i seguenti requisiti (in ordine temporale):

1. L’esca, e di conseguenza l’amo, è messa nelle condizioni di poter essere aspirata dalla carpa senza incontrare resistenze anomale.

2. L’amo riesce a trovare appiglio (si impunta) nella bocca del pesce il prima possibile.

3. L’amo riesce a mantenere il suo impuntamento (più o meno superficiale) nella bocca del pesce fintanto che il pescatore non esegue la ferrata e completa quindi la sua penetrazione.

4. L’amo riesce a mantenere una salda presa nella bocca del pesce per tutta la durata del combattimento, permettendo al pescatore di portare la preda a guadino.

Ottimizzando queste 4 caratteristiche avremo costruito il terminale perfetto! Facile a dirsi…ma molto meno facile a farsi!

Vediamo insieme quali accortezze si possono utilizzare nella costruzione e nell’utilizzo del terminale per cercare di soddisfare al meglio i requisiti precedentemente elencati:

1. La maggior parte dei carpisti non si rende conto che la principale causa che impedisce alla carpa di aspirare con facilità il nostro innesco è un evento tanto semplice quanto trascurato: la completa distensione del terminale sul fondo del lago.

Un innesco, collegato ad un piombo da 100 o più grammi mediante uno spezzone di filo completamente disteso, non può essere aspirato in maniera naturale dalla carpa, anche se la sua bocca si trova a soli 2/3 cm di distanza dall’innesco; questo succede perché il terminale stesso impedisce all’innesco il necessario spostamento verso (e dentro) la bocca del pesce nel momento dell’aspirazione.

Nel caso il terminale sia completamente disteso, visto che l’esca non collabora, spesso sarà quindi la carpa a dover effettuare degli spostamenti per riuscire a farla entrare dentro la bocca (eventualità che ci andrebbe comunque bene), ma talvolta si accorgerà che in quella situazione c’è qualcosa di anomalo e se ne andrà…abboccata persa!

In sostanza, per cercare di evitare questa situazione, oltre ad utilizzare per la costruzione del terminale materiali morbidi o semi-rigidi (trecciati semplici o inguainati), sono solito non distendere mai il terminale dopo il lancio, questo per cercare di far restare l’esca nei pressi del piombo; è chiaro che, considerando gli animaletti disturbatori che potrebbero spostare il nostro innesco, non avremo mai la certezza che l’esca rimanga nei pressi del piombo, ma a mio avviso vale la pena provare.

Da considerare attentamente è il fatto che tanto più lungo è il terminale tanto maggiore sarà (a parità di posizione dell’esca rispetto al piombo) il “movimento libero” di cui l’esca stessa potrà disporre nel momento in cui la carpa la aspirerà! In relazione a questa osservazione vorrei anche far notare che tanto più grandi sono le dimensioni dell’accoppiata amo/esca tanto maggiore sarà, nel momento dell’aspirazione, lo spostamento necessario affinché l’amo possa venire a trovarsi in posizione utile (dentro la bocca)…a buon intenditor poche parole!

Da quanto appena detto potrebbe sembrare che più il terminale è lungo meglio è…ma non è proprio così semplice la questione! Andando avanti con la lettura capirete perché.

2. Una volta che l’esca e l’amo sono dentro la bocca del pesce, nasce la necessità di far impuntare l’amo nella bocca del pesce il prima possibile, prima che il pesce stesso rigetti l’innesco con un soffio e se ne vada!

A questo punto molti di voi avranno già storto il naso e si staranno chiedendo: “Ma come? Non è nel momento dell’espulsione dell’esca da parte della carpa che l’amo si va ad impuntare nella bocca del pesce?”

La mia risposta (tra l’altro condivisa anche dal grande Leon), basata sia su considerazioni teoriche fatte sull’anatomia della bocca della carpa che sull’attenta visione di molti video subacquei, è: “Assolutamente no!”

Non me ne voglia chi ha sempre pensato che le cose andassero in questa maniera, ma sono più che certo del fatto che quando la carpa decide di espellere la nostra esca, se e l’amo non si è precedentemente impuntato nella carne per qualche altro motivo, il 95{2528bc8c95216ae44cd9bc53b00f210f62d444b596d8ebf2a22ba287eb213acb} delle volte riuscirà tranquillamente nel suo intento e ci lascerà con un palmo di naso!

A conferma di questa mia tesi si potrebbero portare anche parecchie prove, ve ne espongo una su tutte: pensate a come è costruito un “Withy pool rig”; la punta dell’amo è completamente messa in ombra dal termo restringente, sarete d’accordo con me che non è assolutamente pensabile che la punta dell’amo si impunti nella bocca del pesce quando l’esca viene soffiata fuori! Eppure quel rig cattura, e anche bene a detta di chi lo usa…quindi? Come avviene l’impuntamento dell’amo?

Per capire come avviene bisogna pensare al fatto che la carpa, dopo aver aspirato l’innesco, si sposterà più o meno velocemente e metterà in tensione il terminale, che è collegato ad un piombo piuttosto pesante.

L’amo verrà dapprima trascinato verso il margine del labbro inferiore, e quando il gambo comincerà ad uscire dal margine del labbro, si verrà a creare uno schema di forze tale per cui, se il rig è ben concepito (e di questo ne parlerò in seguito), l’amo si girerà in posizione quasi verticale e la sua punta farà presa nel labbro inferiore del pesce…bingo!

Appare quindi evidente che più il terminale è corto prima avviene l’impuntamento dell’amo, di conseguenza si riduce la durata di quell’intervallo di tempo “morto” durante il quale la carpa potrebbe tranquillamente espellere il nostro innesco!

Sostanzialmente, quindi, a parte esigenze specifiche di alcune situazioni di pesca particolari, si può affermare che la scelta della lunghezza del terminale deve essere un compromesso capace di soddisfare sia le esigenze espresse nel primo punto che quelle espresse in questo secondo punto (il terminale non deve essere né troppo corto, né troppo lungo).

Una volta capito che ci dobbiamo giocare le nostre possibilità di pungere la carpa sfruttando il suo spostamento (e non le sue espulsioni dell’esca, in quanto non esiste alcun rig capace di allamare sistematicamente la carpa nel momento in cui espelle l’esca!), risulta di fondamentale importanza saper costruire un terminale che sia capace di impuntarsi senza margine d’errore nella bocca del pesce nel momento in cui il terminale viene teso sul piombo. Dico questo perché nella pratica non tutti i terminali sono capaci di garantire l’impuntamento al 100{2528bc8c95216ae44cd9bc53b00f210f62d444b596d8ebf2a22ba287eb213acb}, con alcuni di questi l’amo è piuttosto propenso ad essere trascinato fuori dalla bocca del pesce senza impuntarsi! Per evitare che questo accada risulta importantissimo scegliere il giusto amo e “montarlo” nella giusta maniera (nella seconda parte dell’articolo vedremo quali sono le soluzioni che danno maggiori garanzie in tal senso).

A completamento di quanto detto in questo secondo punto vorrei far presente che talvolta l’impuntamento dell’amo avviene anche a causa dei movimenti della bocca eseguiti dal pesce quando è intento a “degustare” (passatemi il termine certamente non corretto) l’esca che ha appena aspirato. Questo spiega come, in una minoranza di casi, capiti di trovare l’amo infilzato molto all’interno della bocca (quasi in gola); se questi casi capitano molto di frequente forse è il caso di pensare di accorciare un po’ il terminale!

3. I video subacquei mostrano chiaramente che, una volta che l’amo si è impuntato nel labbro inferiore a seguito del movimento del pesce che ha messo in tensione il terminale, la carpa si accorge della sgradita presenza di un qualche oggetto non ben identificato che le punge l’interno della bocca, e la prima cosa che fa, prima di darsi alla fuga, è sempre quella scuotere la testa lateralmente ed emettere dei potenti soffi d’acqua nel tentativo di espellere quel fastidioso “pungiglione”.

Questo momento è cruciale in quanto, senza che il pescatore lo sappia, si sta decidendo se da qui a poco si verificherà una bella partenza oppure non succederà proprio nulla (al massimo qualche “bip” poi silenzio)!

Dico questo perché è dimostrato che talvolta la carpa, grazie ai soffi di cui parlavo sopra e che creano una certa forza idrodinamica sull’esca (e quindi sull’amo a cui l’esca è collegata), riesce a “scardinare” l’amo dal suo labbro e darci il ben servito…ed il bello è che spesso il pescatore non si accorge di nulla! Per questo motivo sono solito ribadire che la validità di un terminale non si misura soltanto in base alla percentuale di slamate…

I fattori che facilitano la riuscita dello “scardinamento” dell’amo in questa fase sono:

• La leggerezza del piombo: più il piombo è leggero minore è la forza che tende a far penetrare e fissare la punta dell’amo nel labbro, di conseguenza è più facile che un soffio della carpa riesca a “scardinare” l’amo dal labbro.

• La velocità di reazione del pesce alla puntura dell’amo. Alcune carpe sono scarsamente reattive, e prima di accorgersi della puntura dell’amo ed eseguire uno o più tentativi di “scardinamento”, arrivano addirittura a sollevare completamente il piombo da terra…meglio per noi! Altre carpe sono molto più “sveglie”: non appena il terminale si tende e l’amo punge, in una frazione di secondo eseguono l’espulsione dell’esca! Queste carpe sono molto più difficili da fregare, proprio perché espellono l’esca in un momento in cui la forza di tensione del terminale è ancora debole…

• La dimensione dell’esca: più l’esca è grossa maggiore è la forza idrodinamica che su di essa agisce nel momento del soffio del pesce. Guarda caso spesso mi capita di sentire pescatori che si lamentano del fatto che con le boilies grosse (30 mm o più) i loro terminali non funzionano più molto bene!

• Una costruzione del rig che non preveda un “sistema antiscardinamento”. Per “sistema antiscardinamento” intendo tutti quei sistemi simili al “Blow out” che, nel momento in cui il pesce espelle l’esca nel tentativo di “scardinare” l’amo, permettono uno spostamento (verso l’occhiello) del punto di collegamento del capello all’amo. Infatti, per questioni fisiche delle quali non mi sembra il caso di dare dimostrazione, è noto che più il punto di collegamento del capello è vicino all’occhiello dell’amo più è difficile che l’amo venga “scardinato” dai soffi del pesce.

4. Supponendo che tutto vada per il verso giusto, e quindi il pescatore riesca a ferrare il pesce, l’unica cosa che a questo punto deve fare il nostro terminale è quella di non mollare la presa!

In questo frangente, la tenuta su cui possiamo contare dipende essenzialmente dalla forma e dalla misura dell’amo, nonché dalla bontà e dalla posizione dell’aggancio (che dipende inevitabilmente anche da fattori puramente casuali, ad esempio la direzione secondo cui la carpa si è spostata dopo aver aspirato l’innesco).

In linea di massima, si può senz’altro affermare che ami a gambo medio/corto di misura generosa offrono mediamente una maggior tenuta e resistenza di ami a gambo lungo di dimensione contenuta.

Alla prossima puntata!

Analisi dei principali pregi e difetti dei più comuni terminali da carpfishing

Eccomi di nuovo qui per affrontare questa seconda parte del nostro percorso riguardante il vasto mondo dei terminali da carpfishing.

In questa seconda parte, sulla base di quanto detto nella prima parte dell’articolo, vorrei analizzare “al microscopio” i terminali da carpa più utilizzati e conosciuti, mettendone in luce sia i pregi che i difetti.

Partiamo subito con la carrellata…

Knotless knot rig

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E’ la miglior scelta per i neofiti e per chi non voglia impiegare più di 5 minuti per costruire il proprio terminale

Chi di noi ha iniziato a pescare a carpfishing utilizzando questo terminale alzi la mano!

Immagino quasi tutti…ed è giusto che sia così, perché questo è il terminale più semplice da realizzare e quindi ideale per prendere confidenza con i nodi che saranno poi necessari anche per costruire buona parte dei terminali più avanzati.

E’ un terminale dal buon rapporto resa/tempo di costruzione, nel senso che in pochi minuti si riesce ad assemblare un terminale che nella maggior parte delle situazioni garantisce delle discrete performance in pesca.

Visto che questo rig è composto esclusivamente da un amo ed un trecciato, ai fini del risultato in pesca diviene ovviamente fondamentale la scelta di questi due elementi.

Per quanto riguarda l’amo ognuno ha le sue preferenze anche se sarebbe da tenere in conto che gli ami a gambo corto garantiscono in generale una maggior resistenza e tenuta nella bocca del pesce, mentre gli ami col gambo un po’ più lungo e l’occhiello inclinato verso l’interno offrono maggiori garanzie in quanto a capacità di impuntamento nella bocca del pesce.

Questa differente capacità di impuntamento la si può provare benissimo sul palmo della mano dopo aver costruito due “Knotless knot rig” con due ami dalla forma diversa (ad esempio potete prendere un amo Fox 2XS ed un amo Fox serie 1, tanto per citare due ami che conoscono tutti); la prova consiste nel poggiare il terminale (innescato!) sul palmo di una mano orizzontale e con l’altra mano tirare il filo con un angolo verso il basso, oppure (il risultato non cambia) spostare la mano che sorregge l’innesco e tenere ferma l’altra (come avviene quando la carpa si sposta con l’innesco in bocca). Quale dei 2 terminali si impunta più facilmente sul bordo della mano? Lascio a voi il compito di fare il test, io ormai ho le mani che sono un colabrodo…

Sebbene qualche abboccata possa andare perduta utilizzando il “Knotless knot rig” (a meno di utilizzare ami dal gambo molto lungo e curvo, e quindi delicati, la capacità di impuntamento dell’amo nella bocca del pesce non sarà mai ai massimi livelli), i limiti di questo rig emergono per lo più nel momento in cui lo utilizziamo in acque sottoposte a forte pressione di pesca.

Infatti in questi casi le carpe, quando si sentono punte, spesso non si danno subito alla fuga, ma la prima cosa che fanno è quella di soffiare acqua fuori dalla bocca nel tentativo di liberarsi dal quel fastidioso oggetto che le sta pungendo! Siccome il “Knotless knot rig” non è dotato di un “sistema antiscardinamento” (si veda la prima parte dell’articolo per la definizione di “sistema antiscardinamento”), in questi casi talvolta l’amo non riesce a mantenere l’impuntamento, specialmente se stiamo utilizzando esche molto voluminose e quindi soggette ad una grande forza idrodinamica nel momento in cui la carpa crea il getto d’acqua.

Line aligner rig

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Questo terminale ha l’apprezzabile “vizietto” di pungere sempre…se ben costruito sarà un vostro fido alleato!

Signore e signori, ecco a voi il terminale da carpa più incompreso della storia!

Sul suo presunto funzionamento se ne sentono di tutti i colori (povero Jim Gibbinson che lo ha inventato), ma sostanzialmente, se ben costruito, si tratta di un “Knotless knot rig” migliorato.

La guaina termo restringente viene impiegata come prolungamento del gambo dell’amo e permette di costruire un terminale con spiccate capacità di impuntamento sul labbro della carpa (il “test del palmo” viene superato con disinvoltura il 100{2528bc8c95216ae44cd9bc53b00f210f62d444b596d8ebf2a22ba287eb213acb} delle volte) pur utilizzando un modello di amo a gambo corto, e quindi capace di garantire una elevata tenuta nella bocca del pesce durante il combattimento; in questa fase, infatti, la guaina termo restringente si piega e l’amo lavora come se ne fosse sprovvisto.

Rimangono inalterati gli stessi limiti che ho descritto per il “Knotless knot rig” e dovuti alla mancanza di un “sistema antiscardinamento”, ma in situazioni di pesca “normali”, con esche di dimensione non esagerata, è probabilmente uno dei terminali classici più efficaci in assoluto!

Il suo funzionamento può essere migliorato in maniera tangibile se il capello viene realizzato in morbida treccia da 10/15 libbre, scelta che si rivela vincente soprattutto nel caso in cui il trecciato utilizzato per il terminale sia molto grosso.

D-rig

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Si dice sia un buon terminale, ma a mio parere bisognerebbe mettersi d’accordo sul concetto di “buon terminale”…

Dico subito che è un rig che non amo in quanto totalmente contrario ai miei punti fermi in materia di costruzione dei terminali.

Per prima cosa non mi piacciono i materiali rigidi con cui il D-rig viene solitamente realizzato (il fluorocarbon in particolare), in quanto non li ritengo materiali adatti ad essere annodati, specialmente su un amo dotato di occhiello che spesso è anche piegato verso l’interno. Dite la verità…quante volte avete spaccato il vostro terminale in fluorocarbon nei pressi dell’occhiello dell’amo?

Ma a prescindere dalle caratteristiche di affidabilità del materiale, il D-rig solitamente è un terminale piuttosto scarso per quanto riguarda la capacità di impuntamento dell’amo, a causa del collegamento rigido con l’esca (anche in questo caso “test del palmo” docet).

Come pregio di questo terminale si può evidenziare la presenza di un efficace “sistema antiscardinamento” che permette all’amo, una volta che sia impuntato, di mantenere il proprio impuntamento nel labbro della carpa nonostante le potenti espulsioni dell’esca.

Prima, però, l’amo deve riuscire a pungere…

Blow out rig

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Nonostante la sua semplicità, è un terminale che può regalare qualche partenza in più nelle acque molto pressate

Questo è un valido terminale che ho utilizzato per diversi anni e di cui, se ben costruito, posso garantire l’efficacia!

A dispetto di una costruzione appena più complessa di un “Knotless knot rig”, questo terminale grazie al “sistema antiscardinamento” di cui è dotato (il tubetto di silicone può scorrere fino quasi all’occhiello dell’amo nel momento in cui l’esca viene espulsa con forza) garantisce prestazioni nettamente superiori, specialmente quando siamo alle prese con carpe “educate”…

A mio personale giudizio l’amo ideale per la costruzione di questo terminale è sicuramente un amo del tipo Fox serie 1: il gambo medio/lungo dotato di occhiello girato verso l’interno gli conferisce una discreta capacità di impuntamento nel labbro del pesce ed inoltre permette al tubetto di silicone di avere una corsa utile maggiore.

Volendo, anche in questo caso si può migliorare il funzionamento del terminale realizzando (con qualche accortezza in più) il capello in morbida treccia da 10/15 libbre.

Il principale difetto di questo rig è il fatto che se per qualche motivo (ad esempio a causa del pesce di disturbo) il tubetto di silicone si sposta verso l’occhiello dell’amo, noi rimaniamo in pesca con un rig che sicuramente non è al 100{2528bc8c95216ae44cd9bc53b00f210f62d444b596d8ebf2a22ba287eb213acb} della sua funzionalità. Per questo motivo mi sento di sconsigliare questo terminale in caso di comprovata presenza di animaletti disturbatori.

Ci vediamo alla prossima puntata dove vi illustrerò quello che per me, allo stato attuale, è la massima espressione di terminale da carpfishing!

Un terminale al top

Siamo arrivati alla terza ed ultima puntata del nostro viaggio nel mondo dei terminali, dove vorrei descrivere nel dettaglio quello che è il terminale che uso abitualmente nelle mie sessioni di pesca da ormai diverso tempo.

Vorrei subito precisare che non si tratta di uno dei tanti rig “da vetrina” che a volte vengono presentati senza che ne sia stata realmente provata l’efficacia, ma di un terminale che è stato testato a fondo sia da me che da alcune persone a cui l’ho consigliato e che ne hanno fatto il proprio “cavallo di battaglia”…

Sebbene non possa escludere che altre persone abbiano utilizzato questo terminale prima di me, nel mio piccolo mi sento un po’ il “padre” di questo rig, in quanto posso affermare che si tratta del risultato di un mio lungo percorso evolutivo (fatto di studio teorico e di molte prove in pesca) che è durato parecchi anni…percorso nel quale, anche se un po’ a malincuore, mi sento di essere arrivato al capolinea!

Fatta la giusta premessa, veniamo al dunque: quello che vedete qui sotto è il rig di cui vi sto parlando.

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Il “test del palmo” viene superato il 100{2528bc8c95216ae44cd9bc53b00f210f62d444b596d8ebf2a22ba287eb213acb} delle volte. Anche il labbro inferiore della carpa non ha scampo…

Come potete vedere è un terminale dalle fattezze piuttosto semplici, senza punti strutturalmente deboli (quindi utilizzabile in qualsiasi situazione di pesca, anche le più gravose) e dotato di alcune caratteristiche particolari che ne ottimizzano il funzionamento in ogni fase dell’abboccata della carpa.

MATERIALE OCCORRENTE

Di seguito riporto l’elenco dei componenti necessari a costruire il terminale.

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Non serve niente di particolare per realizzare questo efficiente terminale

• Trecciato semplice o ricoperto di tenuta adeguata alla situazione di pesca.

• Amo a “schiena di porco” (tipo “Gamakatsu Super Hook A1-HARD” oppure “Tubertini Flyliner”) di misura proporzionata all’esca.

• Guaina termo restringente di diametro proporzionato allo spessore del filo dell’amo.

• Anellino ovale in acciaio inox di dimensioni proporzionate a quelle dell’amo (troppo grosso è controproducente).

• Trecciato morbido da 10/15 lb per costruire il capello.

FASI COSTRUTTIVE

1. Prendere l’anellino e legarlo da una parte col trecciato più resistente (quello che andrà a formare il finale) e dall’altra parte col trecciato più morbido (quello che andrà a formare il capello) eseguendo due nodi Palomar oppure Grinner. Se per il finale si utilizza un trecciato ricoperto, prima di eseguire il nodo occorre spellarne una parte sufficientemente lunga in maniera che, a costruzione terminata, restino 2/3 cm spellati vicino l’amo.

2. Creare un’asola nel capello eseguendo un nodo a 8. Quest’asola servirà per inserire il fermo per l’esca e va realizzata con molta precisione, tenendo presente che la lunghezza totale del capello dovrà essere tale che fra l’esca e l’anellino d’acciaio rimanga una distanza di circa 4/6 mm. Questi pochi millimetri di capello libero sono molto importanti in quanto creano il necessario snodo tra l’amo e l’esca!

3. Far passare la punta dell’amo dentro l’anellino d’acciaio e col trecciato più resistente realizzare sull’amo un nodo senza nodo interno rovesciato con 5/6 spire (non di più); con il termine “interno” si intende il fatto che il trecciato che torna all’occhiello dell’amo dopo aver avvolto le spire passa internamente alle spire stesse (quindi il nodo non è soggetto ad allentamenti), mentre con “rovesciato” si intende il fatto che il nodo viene eseguito in posizione opposta rispetto al gambo dell’amo (a nodo fatto il trecciato deve uscire dal lato esterno dell’occhiello e dal lato interno del gambo dell’amo). La realizzazione di questo nodo (per spiegare la quale ci vorrebbe un articolo intero con tanto di foto) è la fase più delicata della costruzione di questo terminale, in quanto bisogna fare in modo che, una volta che il nodo sia finito, la posizione dell’anellino d’acciaio sull’amo risulti quella della foto che ho messo in questo articolo.

4. Posizionare la guaina termo restringente sul gambo dell’amo in modo che tutte le spire del nodo risultino coperte, ma senza andare oltre le spire (in questa maniera si massimizza la possibilità di movimento dell’anellino d’acciaio). Aiutandosi con un ago far passare il trecciato attraverso la guaina termo restringente, andando quindi a formare il “Line aligner”. Il punto di uscita del trecciato dalla guaina deve distare dall’occhiello dell’amo di circa 4/8 mm, a seconda delle dimensioni dell’amo.

5. Far restringere la guaina termo restringente immergendola completamente in acqua bollente per qualche secondo (6/7 secondi sono sufficienti). Estrarla dall’acqua e, prima che si raffreddi, modellarla dandole la forma corretta (parallela al gambo o al limite appena appena piegata verso l’interno). Tagliare con delle forbici affilate l’estremità della guaina a 45 gradi (operazione non strettamente necessaria).

6. Creare una asola all’estremità del trecciato più resistente eseguendo un nodo a 8. Lo spezzone di trecciato compreso fra l’estremità dell’asola e la guaina termo restringente solitamente avrà una lunghezza variabile dai 14 ai 25 cm, a seconda delle situazioni. Personalmente trovo molto valido rapportare la lunghezza del terminale prima di tutto alla dimensione dell’esca, oltre che eventualmente ad altri fattori particolari (ad esempio una particolare conformazione del fondale oppure un particolare modo di alimentarsi delle carpe).

FUNZIONAMENTO DEL TERMINALE E MOTIVAZIONE DELLE SCELTE TECNICHE

1. La carpa aspira la boilie e con essa anche l’amo collegato.

2. La carpa si sposta e nel fare questo tende il finale sul piombo (che deve necessariamente essere di tipo semibloccato), quindi l’amo viene trascinato verso l’estremità della bocca del pesce e si impunta nel labbro inferiore (o al massimo lateralmente) vista la direzione assunta dal finale in questo frangente. Per ragioni fisiche, contribuiscono ad aumentare notevolmente la capacità di impuntarsi dell’amo (evento contrario allo scivolare passivamente al di fuori della bocca del pesce) due particolari fondamentali di questo terminale:

• La guaina termo restringente che prolunga il gambo dell’amo permettendo allo stesso tempo di tenere corto (e quindi resistente) il gambo vero e proprio.

• Il capello che è collegato (mediante l’anellino) alla parte centrale della curvatura dell’amo. L’anellino scorrevole permette di raggiungere questa condizione pur consentendo al capello di scorrere indietro quando l’amo, nel momento della ferrata, dovrà penetrare a fondo nella bocca del pesce (un capello collegato in maniera fissa alla parte centrale della curvatura dell’amo impedirebbe una penetrazione profonda nella bocca del pesce).

3. Una volta che l’amo si è impuntato nella bocca della carpa, dalle osservazioni subacquee emerge chiaramente come la carpa, a questo punto, capisca che c’è qualcosa che non va e, prima di darsi alla fuga, tenti di liberarsi dall’amo dimenando violentemente la testa ed espellendo a tutta forza l’esca. Il dimenare la testa solitamente è un fattore positivo per il pescatore, in quanto non ha altro esito che far penetrare l’amo più a fondo; l’espulsione dell’esca, invece, è una cosa che, se la montatura non è espressamente concepita, può portare il pesce a riuscire nell’intento di liberarsi dall’amo (abbiamo visto nella prima parte dell’articolo quali sono i fattori che rendono più probabile la riuscita dello “scardinamento”)! A limitare la possibilità che si verifichi questo evento negativo, viene in aiuto l’anellino d’acciaio scorrevole: quando la carpa espelle l’esca, l’anellino scorre indietro sul gambo dell’amo fino ad arrivare a battuta sulla guaina termo restringente, e questo riposizionamento del punto di collegamento del capello fa in modo che la forza trasferita all’amo dai soffi del pesce sia applicata in un punto molto sfavorevole alla riuscita dello “scardinamento” dell’amo dal labbro della carpa.

4. Se tutto è andato per il verso giusto, a questo punto la maggior parte delle volte il pesce si darà alla fuga e noi avvertiremo la classica partenza (o la calata).

5. Successivamente il pescatore eseguirà la ferrata completando la penetrazione dell’amo nel labbro del pesce.

Il terminale presentato in questo articolo è stato testato a lungo con esche affondanti, ma non vi è alcun motivo per cui non debba funzionare perfettamente anche con quelle galleggianti! La cosa molto importante è realizzarlo in maniera precisa e con i materiali indicati…sono sicuro che non vi deluderà!

Per concludere vorrei aggiungere che sono perfettamente conscio del fatto che non esiste (e probabilmente non esisterà mai) il terminale perfetto, quello che non spreca mai un’occasione e che non slama mai nessun pesce, ma sono altresì convinto che un terminale studiato “ad hoc” ci permette di ridurre notevolmente il margine di errore e quindi di catturare qualche pesce in più rispetto a quanto faremmo utilizzando un rig mediocre…e magari tra questi pesci “extra” potrebbe esserci proprio il pesce dei nostri sogni!


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by Marco Tribunale